Dal Territorio

Vaccino obbligatorio per il 40% dei reggiani? La Cisl: “In assenza di una legge non si può licenziare chi si rifiuta, ecco perché”

Intervista a Rosamaria Papaleo a cura dell’ufficio stampa della Cisl reggiana gabriele Arlotti

Campagna vaccinale: il datore di lavoro può e con quali conseguenze per il lavoratore in caso di rifiuto?
Ne parliamo con Rosamaria Papaleo, segretaria Cisl Emilia Centrale: “Sono temi sindacali molto dibattuti in Italia – spiega la segretaria –. Da gennaio il tema vaccinazioni riguarda gli operatori della sanità pubblica e privata, a brevissimo le vaccinazioni riguarderanno (dati Inps) il complesso dei 212.000 lavoratori reggiani (il 40% della popolazione): di cui lavoratori nell’industria, artigianato e nel privato 169.000, nel pubblico 28.000, lavoratori domestici 7.600, operai agricoli 7600”.
“Puntualizziamo – spiega la segretaria – che attualmente il vaccino non è obbligatorio e non accessibile dai datori di lavoro in quanto è affidato dall’ordinamento alle competenti autorità sanitarie”.

Allo stato attuale, come stanno le cose?
“E’ bene ricordare l’articolo 32 della Costituzione che, al comma 2, stabilisce che ‘nessun trattamento sanitario può essere imposto se non per legge’. Una parte della dottrina rinviene questa legge nell’obbligo del datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare la salute dei lavoratori”(art2087 del Codice civile) e nella norma che impone al datore di lavoro di adottare misure protettive, tra cui i vaccini, ai lavoratori esposti ad agenti biologici (art. 279 Testo unico salute e sicurezza), cioè ai lavoratori esposti a un rischio insito nell’ambiente di lavoro. Il Covid 19 non è tale per tutti gli ambienti di lavoro”.

Quindi se fossero resi obbligatori i vaccini che accadrebbe?
“Se il vaccino fosse reso obbligatorio attraverso una legge specifica, come sostiene altra parte della dottrina, l’illegittimo rifiuto potrebbe condurre al licenziamento del lavoratore per giusta causa o giustificato motivo di recesso”.

Però, segretaria Papaleo, non tutti i lavori sono uguali e quindi per alcuni settori specifici (sanitario e socio sanitario) cosa succede se il lavoratore si rifiuta?
“In questo caso c’è anche un profilo di responsabilità risarcitoria nei confronti dei pazienti. In questi settori il medico competente in via precauzionale potrebbe chiedere per l’idoneità al lavoro la vaccinazione”.

Allo stato attuale, invece, cosa possono fare le aziende?
“Sicuramente mettere in campo altri strumenti per tutelare i propri collaboratori dal rischio di contagio dovuto alla condotta di dipendenti che si rifiutano di sottoporsi a vaccinazione. Come riservare a chi si rifiuta di vaccinarsi una postazione isolata e non a contatto con utenti e fornitori. Adibire il lavoratore ad altre mansioni anche inferiori in conseguenza della riforma renziana che ha modificato l’art. 13 dello Statuto dei lavoratori. Ricordiamo anche l’adibizione a lavoro agile, se compatibile, e l’attivazione della cassa integrazione, ove possibile, fino alla fine della pandemia. Oppure come extrema ratio allontanarlo /esoneralo senza retribuzione (sospensione temporanea). Qualora l’assenza si prolunghi eccessivamente diventando pregiudizievole per l’organizzazione aziendale si potrà procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.
“Mentre la politica latita per ragioni di equilibri squisitamente politici – conclude la segretaria – attualmente la vaccinazione è un dovere morale in quanto rappresenta la misura più efficace per proteggere se stessi e gli altri contro la pandemia”. (G.A.)

DI COVID SI MUORE AL LAVORO

In Emilia Romagna accertati 34 casi, a Reggio Emilia 1

Commenta Rosamaria Papaleo, segretaria Cisl: “Non è escluso che in futuro, quando il vaccino contro il Coronavirus sarà disponibile in quantità sufficienti per una vasta diffusione potrebbe integrare il sistema di sicurezza sul lavoro. Questo è già avvenuto attraverso l’adozione dei Protocolli di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusine della pandemia negli ambienti di lavoro condivisi tra Governo e parti sociali. L’adozione degli stessi ha permesso di ridurre i casi di infortunio sul lavoro da Covid-19, ma nonostante ciò il totale dei casi registrati in Emilia Romagna sono stati 8.044, di cui 34 mortali. Il totale Italiano è di 104.328 di cui 366 mortali accertati, pertanto la nostra regione rappresenta il 7,7 % degli infortuni da Coronavirus ed il 9,3% di quelli mortali. A Reggio Emilia si sono registrati 1.196 infortuni da Covid-19, di cui solo uno mortale. Di questi hanno interessato 921 donne e 275 uomini, collocandosi al secondo posto in Regione dopo Bologna con 1920 casi, pari al 14,9% del totale. Le professioni più colpite sono i tecnici della salute (infermieri), operatori socio sanitari, operatori socio assistenziali e impiegati addetti alla segreteria e affari generali (dati Inail 22.12.2020).

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